In Toscana esistono luoghi dove il paesaggio racconta storie sommerse, letteralmente. Uno di questi è il Lago di Montedoglio, specchio d’acqua artificiale che oggi domina la Valtiberina, ma che un tempo custodiva qualcosa di ben diverso: un borgo rurale chiamato Madonnuccia, oggi scomparso sotto la superficie.
Questo luogo non è solo una diga, né un semplice invaso. È un custode silenzioso di memorie. Storie di famiglie, campi coltivati, strade battute ogni giorno da contadini e bambini, tutto cancellato da un progetto idrico avviato negli anni ’70 e conclusosi con la nascita del più grande bacino artificiale della Toscana.
Cosa tratteremo
Un viaggio nel tempo tra le acque della Valtiberina
Oggi il Lago di Montedoglio appare come una distesa tranquilla, incorniciata dalle dolci colline della provincia di Arezzo. Ma chi conosce bene la sua storia, sa che sotto quelle acque si nasconde un intero paese.
La Madonnuccia, frazione di Pieve Santo Stefano, era un piccolo centro abitato da oltre 300 persone. Un borgo rurale semplice, ma vitale. Le case in pietra, i filari di viti, le aie polverose e le voci dei bambini: ogni elemento faceva parte di una quotidianità ora inghiottita dal fondale.
Il progetto che ha trasformato la valle in lago nacque con obiettivi precisi: raccogliere e distribuire l’acqua del Tevere, irrigare le coltivazioni, regolare i flussi per prevenire esondazioni e garantire acqua anche nei mesi di siccità. Un piano strategico, ma anche una frattura nella vita di una comunità.
La Madonnuccia prima del silenzio
Non esistono più le strade che portavano alla Madonnuccia. Oggi finiscono bruscamente, inghiottite dal bordo del lago. Dove prima si stendevano orti e campi coltivati, adesso si apre un paesaggio d’acqua. Ma per chi ci abitava, quel luogo esiste ancora nei ricordi.
Nel progetto documentaristico C’era una volta al Borgo, ideato da Michele Rossi, la voce degli ex abitanti si intreccia ai paesaggi attuali. I protagonisti non parlano solo di nostalgia: raccontano con precisione come si viveva, cosa si coltivava, chi erano i vicini, quali feste si celebravano.
Attraverso le loro parole, il borgo riaffiora. Non come un reperto archeologico, ma come una comunità viva nella memoria.
Un racconto tra documentario e realtà
L’opera di Michele Rossi non si limita a un video commemorativo. Il suo progetto si inserisce in un contesto più ampio: la salvaguardia della memoria storica dei piccoli centri italiani. In un paese in cui centinaia di borghi rischiano l’abbandono o la cancellazione, raccontare storie come quella della Madonnuccia significa restaurare la dignità del passato.
Il documentario, parte integrante del progetto Viaggi d’Autore, rappresenta un viaggio nel tempo più che nello spazio. Un viaggio fatto di testimonianze, fotografie d’epoca, racconti orali e paesaggi che oggi sembrano irreali, ma che un tempo erano il quotidiano di molte famiglie.
Pieve Santo Stefano, porta d’accesso al lago
Chi vuole esplorare il Lago di Montedoglio oggi può partire da Pieve Santo Stefano, comune situato lungo il confine con l’Umbria. Qui si trovano B&B, agriturismi e strutture ricettive che permettono un’immersione autentica nel territorio. Ma soprattutto, è un luogo perfetto per raccogliere informazioni, ascoltare racconti e respirare l’atmosfera di un tempo.
Passeggiando per le vie di Pieve, capita spesso di incontrare persone che ricordano la Madonnuccia. Per loro, non è solo un paese scomparso: è un capitolo personale, una geografia dell’anima che continua a vivere nelle parole e nei ricordi.
Dove finisce la strada e inizia la memoria
Guardando oggi il Lago di Montedoglio, sembra difficile immaginare che lì sotto ci siano tetti, muri, recinti. Ma quando il vento increspa appena la superficie dell’acqua, è come se la voce della Madonnuccia tornasse a farsi sentire.
Questa storia è più di un racconto di espropri e trasformazioni ambientali. È un invito a riflettere sul valore della memoria, su ciò che rimane quando un luogo scompare e sulla responsabilità di conservarne il ricordo.
Perché anche se non esistono più le pietre, le storie possono ancora costruire ponti tra passato e presente.