Ci sono cammini che sembrano più lunghi di altri. Non per la fatica, ma per la quantità di cose che ti lasciano addosso. Il trekking in Preda Rossa Val Masino, in Valtellina, è uno di questi. Si parte da un parcheggio in alta quota e si sale verso il Rifugio Ponti, con il profilo imponente del Monte Disgrazia che domina l’orizzonte. Ma ciò che resta davvero non è solo la meta. È il modo in cui ci si arriva.

Dove si trova Preda Rossa e come arrivarci

Preda Rossa è una conca glaciale che si apre nella parte più alta della Val Masino, in provincia di Sondrio. Il suo nome deriva dal colore rossastro del granito locale, segnato dal tempo e dai licheni.

Per raggiungerla, si percorre la Valtellina fino a Ardenno, poi si svolta in direzione Val Masino, passando per i piccoli centri di Cataeggio e San Martino. Da lì, si prosegue verso Filorera, dove nei mesi estivi (generalmente da giugno a settembre) la strada che sale a Preda Rossa è chiusa al traffico privato. In questi periodi bisogna lasciare l’auto e prendere una navetta gestita dal comune di Val Masino, che porta direttamente al parcheggio a quota 1950 metri. Nei giorni feriali o in bassa stagione, è possibile salire in auto previa prenotazione di un pass.

Consiglio: verifica sempre sul sito del Comune gli orari aggiornati e prenota la navetta o il pass in anticipo. L’accesso è regolato per tutelare un ambiente alpino fragile e prezioso.

Il paesaggio di Preda Rossa

Appena scendi dalla navetta (o dall’auto, se sei partito all’alba), l’aria cambia. Più fredda, più leggera. Senti il fruscio dell’acqua del torrente Duino che scorre appena sotto al sentiero, tra sassi arrotondati e ciuffi d’erba bassa. Intorno a te, larici radi, cespugli di mirtilli, massi glaciali giganteschi disseminati nella piana come lasciati lì da una mano distratta.

Il paesaggio ha qualcosa di lunare, ma non è sterile: qui si muove silenziosamente la vita di alta quota. Marmotte che fischiano da lontano, aquile che disegnano cerchi in cielo, stambecchi che osservano da sopra le creste. E poi l’onnipresente Monte Disgrazia, che domina la scena con i suoi ghiacciai, le sue pareti inclinate, il suo silenzio.

Il sentiero verso il Rifugio Ponti

Dal parcheggio, si segue il sentiero segnalato n. 301, indicato con cartelli in legno e segnavia bianco-rossi. La prima parte del cammino è dolce, pianeggiante, adatta a tutti. Il terreno è compatto, si cammina su pietra e terra, tra larici e abeti che profumano di resina. L’odore è forte, umido, a tratti speziato. In alcuni punti il sentiero attraversa piccoli corsi d’acqua che scendono dal versante opposto.

Dopo circa mezz’ora, il percorso inizia a salire. La pendenza non è mai eccessiva, ma è costante. Si guadagna quota tra sassi, rocce, scalini naturali. Il panorama cambia: il bosco si dirada, compaiono le prime grandi pietraie e massi erratici. Il silenzio diventa più profondo. Senti solo i tuoi passi e, ogni tanto, il richiamo acuto di una marmotta.

A tratti, ti sembra di non seguire più un sentiero, ma una linea invisibile tracciata tra le pietre. Eppure la via è chiara, ben tenuta, segnata con cura. Chi cammina qui non lo fa per caso. Cammina chi ha voglia di stare.

Arrivo al Rifugio Ponti e vista sul Monte Disgrazia

Dopo circa due ore – ma dipende dal passo, dal vento, dalle soste – si intravede finalmente il Rifugio Cesare Ponti (2559 m). Il rifugio si trova su una spianata rocciosa, solido, compatto, incastrato tra le rocce come un pugno di legno contro il granito. È una costruzione essenziale, in armonia con l’ambiente, gestita con semplicità e rispetto.

Da qui, la vista è ampia, potente. Di fronte si staglia l’inconfondibile profilo del Monte Disgrazia, 3678 metri, una piramide di neve e pietra che sembra troppo vicina per essere vera. A destra e sinistra, le valli laterali si aprono su ghiacciai residui, nevai, torrenti in discesa.

Sedersi qui, sul bordo del muretto del rifugio, con una tazza di tè caldo tra le mani, è forse la parte più bella dell’escursione. Ti senti piccolo, sì. Ma anche pieno.

Difficoltà, tempi e consigli pratici

  • Dislivello: circa 600 m

  • Tempo di percorrenza: 2/2,5 ore in salita – 1,5/2 ore in discesa

  • Difficoltà: escursionistico (E), senza tratti esposti

  • Adatto a: escursionisti mediamente allenati, anche famiglie con bambini abituati a camminare

Consigli pratici:

  • Porta scarponi alti: le pietraie non perdonano le caviglie leggere.

  • Indossa strati leggeri: al sole fa caldo, all’ombra e col vento cambia tutto.

  • Porta acqua: non ci sono fonti lungo il sentiero, solo piccoli ruscelli (non sempre potabili).

  • Prenota la navetta o il pass con anticipo, specie nei weekend.

  • Se possibile, evita agosto: troppa gente, troppo rumore.

Quando andare

Il periodo migliore per fare il trekking in Preda Rossa Val Masino è da metà giugno a fine settembre. A inizio stagione si possono trovare ancora nevai sul sentiero, mentre in autunno le giornate si accorciano e il terreno si fa più scivoloso.

I momenti migliori? Le prime ore del mattino, quando il sole accende le rocce di rosa e tutto è ancora immobile. O i pomeriggi dopo la pioggia, quando l’odore della pietra bagnata si mescola a quello del muschio.

Una scena vera

Mi è capitato di vedere un uomo camminare in silenzio, con un bastone fatto di legno chiaro, intagliato a mano. Ogni tanto si fermava, guardava il Disgrazia e sorrideva. L’ho raggiunto al rifugio. Mi ha detto solo: “Vengo qui da cinquant’anni. Non ho mai fatto una foto.”

Quel gesto, quel silenzio, mi hanno detto più di mille immagini.

Perché andarci

Non è una passeggiata facile, né una di quelle escursioni “instagrammabili” dove tutto è a portata di click. È un percorso reale, dove le scarpe si sporcano, il respiro si fa corto, e la montagna non si mostra a chiunque, ma solo a chi la cerca davvero.

Scendendo, tutto sembra più leggero. Le pietre meno ostili, il bosco più familiare. Ma qualcosa resta. Come se la montagna ti avesse preso le misure, e ti avesse lasciato andare solo perché hai camminato con rispetto.

Quando torni a casa, non racconti tanto il paesaggio. Ma quello che hai sentito. E forse, un giorno, ci torni. Non per rifare il trekking. Ma per vedere se sei cambiato, tu.