Non so tu, ma quando atterro in una nuova città mi prende sempre quella sensazione strana: un misto di curiosità e disorientamento. Con Bruxelles è stato diverso. C’era un odore dolce nell’aria — qualcosa tra vaniglia e zucchero caramellato — e il suono delle ruote di una valigia sul pavé. Mi sono lasciato guidare dal profumo, senza meta, finché non mi sono ritrovato nel mezzo di una piazza dorata che sembrava uscita da un libro antico. E lì ho capito: questo viaggio in Belgio sarebbe stato tutt’altro che ordinario.

Giorno 1 – Bruxelles, dove tutto inizia (e profuma di waffle)

Appena scendi dal treno o dall’aereo, Bruxelles ti sorprende. Non con grandi effetti speciali, ma con qualcosa di più sottile. L’odore dolce dei waffle caldi ti accompagna in ogni angolo del centro, come una promessa. E poi, giri l’angolo e boom: Grand Place. Maestosa, elegante, luccicante. Ti viene voglia di sederti lì per ore, a guardare i dettagli dorati dei palazzi, mentre la gente passa, scatta foto, ride in tutte le lingue del mondo.

C’è un senso di europeismo reale, non quello delle istituzioni. Gente diversa, con storie diverse, che condivide tavoli da birra e panini con frites. Ti consiglio di perderti nei vicoli vicini, di seguire i murales del Percorso del Fumetto come fossero indizi di una caccia al tesoro. Ogni tanto ne spunta uno gigantesco, inaspettato. Il più bello? Quello con Tintin che salta da un balcone. Mi ha fatto sorridere da solo, come un bambino.

L’Atomium è curioso, ma è nei piccoli bistrot art déco che Bruxelles ti entra davvero sotto pelle.

Giorno 2 – Bruges, come entrare in un libro illustrato

Ti succede mai di arrivare in un posto e avere l’impressione di esserci già stato, ma in un sogno? Bruges è così.

Non so se è il rumore lieve dell’acqua nei canali, il suono lontano delle carrozze sui ciottoli, o quelle facciate color pastello con i gerani rossi ai balconi… ma Bruges sembra irreale. E invece è lì, viva. C’è il profumo di cioccolato caldo che esce da ogni finestra, gente che chiacchiera in fiammingo (una lingua che sembra fatta di legnetti e risate) e barchette lente che scivolano sull’acqua grigia come in un film d’autore.

La piazza centrale è bellissima, certo, ma io ho preferito perdermi nei vicoli meno battuti, trovare una birreria artigianale nascosta, ordinare una Tripel e sedermi fuori, a guardare il tempo fermarsi.

Se puoi, dormici una notte. Bruges di sera è silenziosa, quasi sospesa. I lampioni riflettono sui canali e le ombre sembrano raccontare storie antiche.

Giorno 3 – Gand, dove la bellezza non si mette in mostra

Gand è come quella persona affascinante che non si trucca mai: bella senza volerlo sembrare. È più ruvida, più reale rispetto a Bruges. E forse per questo mi ha colpito di più.

Cammini lungo il Graslei, il vecchio porto, e c’è sempre un po’ di vento. Senti odore di fiume, birra e carta stampata. La gente qui legge molto. Nei caffè trovi studenti che sottolineano pagine, vecchi professori che discutono davanti a una Orval, famiglie che passeggiano tranquille.

Il Castello dei Conti di Fiandra è imponente, ma dentro nasconde storie cupe e scomode. Torture, tradimenti, fughe. Ti viene un brivido, poi esci e ti ritrovi il sole in faccia e il profumo di pane alle noci che arriva da una panetteria artigianale lì accanto.

Ah, e la Cattedrale di San Bavone… preparati a restare in silenzio per qualche minuto. Lo sguardo di Dio nel “Polittico dell’Agnello Mistico” non si dimentica facilmente.

Giorno 4 – Anversa, dove i diamanti non sono l’unica cosa che brilla

Non avevo grandi aspettative su Anversa. Mi sembrava una tappa di passaggio. E invece…

La stazione centrale è una cattedrale laica: vetri colorati, marmo, silenzio elegante. Già lì capisci che questa città prende le cose sul serio. Poi scopri che è un centro mondiale per il commercio dei diamanti, ma anche un nido creativo dove giovani stilisti, designer e artisti si inventano spazi e idee.

Il Rubenshuis è molto più di una casa-museo. È un viaggio dentro una mente geniale, in una città che ha assorbito l’arte fiamminga come se fosse aria. Cammini e noti dettagli ovunque: battenti decorati, palazzi neobarocchi, graffiti colorati accanto a insegne liberty. Un mix perfetto.

E la birra? Più amara. Anversa ti sfida anche nel gusto.

Giorno 5 – Waterloo, la memoria in una collina

Non sono un appassionato di battaglie, ma a Waterloo qualcosa dentro si muove.

Sali i 225 gradini della Collina del Leone, arrivi in cima e ti giri: una distesa di campi, silenziosa, verde, sterminata. Lì sotto, poco più di due secoli fa, decine di migliaia di uomini si sono affrontati. Napoleone, Wellington, Blücher… nomi che hai letto a scuola, che qui diventano reali. Vedi i cannoni, le uniformi, ascolti i racconti immersivi del Mémorial 1815 e senti quasi il suono dei tamburi e il galoppo dei cavalli.

Ti resta un senso di rispetto. E un bisogno quasi istintivo di silenzio, mentre scendi dalla collina.

Giorno 6 – Durbuy, il borgo che sembra una miniatura

Durbuy è minuscola. Così piccola che se sbagli strada rischi di uscirne senza accorgertene. Ma è una bomboniera vera. Un villaggio da fiaba, con case in pietra, tetti in ardesia, il fiume Ourthe che scivola lento, e una calma che ti si appiccica addosso.

C’era un profumo di stufato alla birra che usciva da una taverna. Mi sono fermato lì. Tre tavoli, una signora che cucinava cantando in francese, e una cameriera con le guance rosse che serviva a ritmo lento. Quel piatto era più buono di molti stellati.

A Durbuy si viene per camminare senza fretta, fare due chiacchiere con gli artigiani e dimenticare per qualche ora che esistono notifiche, semafori, caos.

Giorno 7 – Dinant e le Grotte di Han: musica, rocce e silenzi

Dinant è verticale. Colorata sotto, rocciosa sopra. Le case sono affacciate sulla Mosa, la Cittadella ti guarda dall’alto. E ovunque ci sono sassofoni giganti: Dinant è la città natale di Adolphe Sax, e la sua presenza musicale è ovunque. Una volta ho sentito un signore anziano suonarne uno dal vivo, davanti alla collegiata. Era come ascoltare una storia, senza parole.

La birra Leffe qui ha un gusto diverso. Forse per il contesto. O forse perché te la servono con le patatine fritte fatte al momento, e un sorriso che sa di Vallonia.

Poi ci sono le Grotte di Han. Un mondo a parte. Si scende con un trenino d’altri tempi e poi… silenzio, luce tenue, rocce che sembrano scolpite da mani giganti. A 110 metri sotto terra, con l’eco delle gocce e le pareti che si illuminano a suon di musica, mi sono sentito piccolo e felice.

Quando andare e come muoversi

Il Belgio non è mai troppo caldo, né troppo freddo. È spesso grigio, sì, ma quel grigio ha un suo fascino. Il periodo ideale? Da maggio a settembre, ma anche a dicembre con le luci natalizie è pura magia.

Puoi spostarti facilmente in treno: puntuali, puliti, con vista sui campi e le mucche. Oppure in auto, se vuoi esplorare angoli nascosti. Io ho fatto un mix: treni per le città, macchina per Durbuy e Han.

Una nota prima di salutarci

Il Belgio non urla. Sussurra. Non si mette in posa, ma si lascia scoprire. A tratti ti sembra di non capirlo, poi all’improvviso, in un piccolo gesto, un odore familiare o una frase sentita per caso… ti si apre. E ti entra dentro.

Quando ripenserai al tuo viaggio, forse non ricorderai i monumenti più famosi. Ma ricorderai il suono delle bici sulle pietre, il gusto del cioccolato alle 10 del mattino, il volto sorridente di un panettiere che ti saluta in fiammingo.

E forse, solo allora, capirai davvero perché vale la pena tornare.